martedì 29 gennaio 2008

Un esperimento di gestione operaia

Sessantadue operai che guidano una fabbrica tessile. Un sistema di gestione che non viene calato dall’alto ma sorge all’interno del luogo di lavoro, tra le macchine, grazie ad assemblee e riunioni di settore. Non siamo in Argentina, ma a Bollate, periferia nord ovest di Milano, dove il 6 marzo 2006 la ex Timavo & Tivene si è trasformata in Syntess, fabbrica autogestita.

«La decisione di tentare la strada dell’autogestione è nata in poche ore – spiega Paolo Castellano, responsabile del personale -. Dopo un weekend di fuoco in cui i vecchi proprietari ci hanno abbandonato, le alternative di fronte a cui ci siamo trovati erano accettare la cassa integrazione, oppure provarci. E noi abbiamo scelto la seconda». La Syntess non è una cooperativa, ma una società di capitali, nata grazie alla Provincia di Milano, che ha dato 200 mila euro destinati inizialmente ad un eventuale ricollocamento dei lavoratori, e al contributo degli stessi operai che hanno versato le loro quattordicesime, in tutto 30 mila euro.

La fabbrica nasce nel 1958 su un’area di 25 mila metri quadri, 15 mila dei quali coperti, proprio nel centro di Bollate. E’ impegnata nella cosiddetta nobilitazione tessile, il momento della lavorazione dei tessuti che precede il confezionamento dei capi. Lo stabile, comprende una parte di laboratorio chimico, e due di lavorazione: l’area tintoria e l’area finissaggio. Grandi macchine, alcune simili a lavatrici, altre a giganti ferri da stiro, che lavorano senza sosta. Si producono tessuti in cotone, materiale tessile per la biancheria intima, ma anche pail e tessuti felpati.

A partire dagli anni Ottanta, quando a Bollate i dipendenti sono circa 250, la Timavo & Tivene, proprietaria anche di uno stabilimento in provincia di Treviso e uno in provincia di Bologna, è coinvolta nelle ripetute crisi del settore tessile. Dopo quella pesante del 2002, nel novembre 2004 la situazione precipita. I proprietari decidono di chiudere gli stabilimenti di Bologna e Bollate. Ma gli operai lombardi non ci stanno e iniziano a battersi per mantenere il posto di lavoro.

Nel marzo 2005, grazie all’impegno di un vecchio socio, nasce la Tintoria di Bollate. I lavoratori, che dopo le ondate di diminuzione del personale negli anni sono rimasti una novantina, vengono assunti con contratti a termine di un anno e per alcuni mesi la nuova fabbrica mantiene un bilancio in attivo. Ma a novembre il nuovo crollo. Il vecchio socio, anziano e incerto sulle prospettive future, decide di abbandonare.

A inizio marzo 2006, in concomitanza con la scadenza dell’anno di contratto a termine, sembra che la vecchia ditta Timavo & Tivene possa riprendere l’attività, ma all’ultimo straccia l’accordo. E così i lavoratori decidono di prendere la fabbrica in mano. Il tutto si sviluppa anche grazie al sostegno fondamentale della Filtea-Cgil (Federazione Italiana Lavoratori Tessili) e del suo segretario generale di Milano, Giuseppe Augurusa, impegnato fin dall’inizio nelle trattative con la vecchia azienda e guida per gli operai nel momento della scelta.

In un anno e mezzo di attività la Syntess ha ridotto il personale, per alleggerire i costi di gestione. Ma senza licenziamenti. Alcuni lavoratori sono stati ricollocati in altre fabbriche della zona, i più anziani hanno usufruito della possibilità del prepensionamento. Ora sono rimasti in sessantadue, la metà donne. «Non è stato semplice e non è semplice tuttora – continua Castellano -. Abbiamo dovuto riaccendere i macchinari dopo alcuni mesi di inattività e ritrovare la fiducia dei vecchi clienti, che in parte si erano già rivolti ad altre aziende».

Il consiglio di amministrazione è composto da un amministratore esterno e da due lavoratori. Ma è tutto l’insieme degli operai-soci a partecipare alla gestione dell’azienda, tramite riunioni di settore a diverso livello. I primi mesi di attività i conti sono andati in positivo. Oggi la situazione è un po’ più critica, ma le difficoltà dipendono soprattutto dai brutti momenti che il settore tessile attraversa periodicamente. «Produciamo 5 mila chili di merce al giorno, a fronte di una potenzialità di 15 mila», dice un po’ preoccupato Castellano.

Ma gli operai della Syntess hanno un progetto ben chiaro in mente, che comprende anche l’abbattimento dei costi energetici. E’ per questo che hanno cercato un partner che li potesse aiutare, sia dal punto di vista della capitalizzazione che da quello del risparmio di energia. E lo hanno trovato in TeSI, società di servizi energetici che è entrata nel capitale sociale della Syntess e ha costruito una nuova centrale energetica funzionante con il sistema di cogenerazione del vapore. Questo permetterà un risparmio notevole alla fabbrica, ma soprattutto la possibilità di vendere energia alla città di Bollate.

«L’ostacolo più grande ora è far comprendere a tutti l’importanza di partecipare. Molti operai si sono responsabilizzati e lavorano bene. Ma ogni tanto capita che la produzione non sia fatta al meglio. E noi questo non ce lo possiamo permettere. A volte ci è toccato anche prendere dei provvedimenti disciplinari». Una visione che rende questi lavoratori, forse anche un po’ inconsapevolmente, esempi di un discorso sociale avanzato, fatto di responsabilità e partecipazione collettiva.

«Oltre a un po’ di follia e a molto coraggio – prosegue Castellano – è necessario un gruppo di persone che sappia trascinare la lotta. Un gruppo che sia credibile all’interno della fabbrica ma anche nelle relazioni con l’esterno. Abbiamo avuto una certa visibilità mediatica, ora però l’importante è che venga dato un quadro legislativo alla nostra situazione, che per ora in Italia è unica, ma non è detto che lo rimarrà».

Ilaria Leccardi da Cenerentola

Anoressia: a rischio anche i ragazzi


Evitare il cibo. Non dare sfogo al palato. Privarsi del piacere del gusto, nella ricerca tormentata del fisico perfetto. Digiunare. Consumarsi. Consumarsi fino a svanire, annullarsi. E poi scomparire. L’anoressia è una malattia che colpisce in prevalenza la popolazione femminile in età adolescenziale. Ma in realtà, ha anche un volto maschile, in crescita negli ultimi anni. Lo sostiene uno studio del Ministero per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive e del Ministero della Salute, secondo cui la percentuale di maschi affetti da disturbi alimentari raggiunge oggi il 5% dei malati totali, un numero decuplicato in soli cinque anni.

«Le manifestazioni e i sintomi dell’anoressia maschile sono gli stessi che colpiscono le donne – spiega il professor Giuseppe Malfi, responsabile della struttura dietetica sui disturbi alimentari delle Molinette di Torino – voglia di perdere peso e timore di recuperarlo, iperattività fisica, incapacità di riconoscere la malattia. Ma mentre tra le ragazze si è affermato il concetto di magrezza come sinonimo di successo, tra gli uomini prevale la ricerca estetica del bel fisico. Questa ossessione prende la forma della cosiddetta vigoressia, una tendenza del ragazzo a svolgere molta attività fisica, passando un gran numero di ore in palestra, e a controllare in modo assillante il cibo che mangia».
Uno degli ultimi giovani che il professore ha visitato supera il metro e settanta ma pesa solo 48 chili. Dall’inizio della sua malattia di chili ne ha persi quasi 20. «In genere i ragazzi che cadono nell’anoressia sono normopeso, non tendono all’obesità – continua il professore –. Tra i primi alimenti che eliminano ci sono quelli contenenti carboidrati e grassi. C’è poi chi, per sopperire alla mancanza di cibo si riempie di liquidi, arrivando a bere anche 3 o 4 litri al giorno di acqua o altre bevande. Si chiama polidipsia, ossia necessità patologica di bere continuamente».

Ogni anno al centro pilota regionale delle Molinette per la cura dei disturbi alimentari entrano tra i 150 e i 200 nuovi pazienti anoressici. Un caso su venti riguarda maschi. E il professor Malfi conclude: «Se circa la metà delle adolescenti anoressiche riesce a uscire dalla malattia grazie alle cure, per i ragazzi spesso è più difficile venirne fuori». La malattia porta la persona a consumarsi poco per volta e i tassi di mortalità possono raggiungere anche il 20%. La metà dei decessi avviene per suicidio, ma sono anche molti i casi di morte per arresto cardiaco.
Il centro offre ai giovani in difficoltà linee telefoniche e mail dedicate all’ascolto.

I minorenni possono contattare il centro al numero 011.6307477, o all’indirizzo mail prato-18@centrodcapiemonte.com. I maggiorenni invece possono chiamare il numero 011.6336252/3 o scrivere a prato+18@centrodcapiemonte.com.
Ilaria Leccardi


di Ilaria Leccardi da Futura

lunedì 28 gennaio 2008

La Thyssen è vuota. La piazza no

Sono passati quasi due mesi dalla tragedia alla ThyssenKrupp. La fabbrica di corso Regina Margherita è chiusa, ferma, silenziosa. All’esterno però gli operai si muovono, discutono del proprio futuro, provano a restare uniti. E intanto, nascono diverse iniziative per non dimenticare quella notte e sostenere i centocinquanta lavoratori rimasti fuori dai cancelli.

«Ci incontriamo davanti alla fabbrica ogni tre o quattro giorni – racconta Ciro Argentino, delegato Fiom alla ThyssenKrupp –. Parliamo della nostra situazione lavorativa e del nostro futuro, anche se, dopo aver incontrato i rappresentanti dell’azienda negli ultimi giorni di dicembre, non abbiamo più avuto riunioni ufficiali e molti di noi ancora non sanno nulla di quello che sarà il loro ricollocamento. Inoltre stiamo raccogliendo testimonianze sulla situazione in fabbrica prima dell’incidente, per dimostrare che l’azienda è imputabile non solo per il rogo, ma anche per aver sempre ignorato le misure in tema di sicurezza. Ci siamo affidati a due studi legali vicini al sindacato, mentre le famiglie delle vittime hanno preferito agire da sole, scegliendo dei propri avvocati».

In questo cammino i lavoratori non sono soli. C’è chi alla Thyssen ha pensato di dedicare un concerto, come quello del 19 gennaio scorso al circolo Arci Evadamo di Torino, a cui hanno partecipato più di settecento persone e molti lavoratori. C’è chi, come i giovani dell’associazione Monkeys Evolution, ha deciso di lanciare una raccolta firme per chiedere al Comune di Torino la realizzazione di un murales grande e colorato in ricordo delle vittime. I delegati della fabbrica hanno anche pensato ad una Partita del Cuore con la nazionale cantanti per mantenere alta l’attenzione sull’emergenza delle morti sul lavoro, e per ognuna delle famiglie delle vittime sono già stati raccolti più di 500 mila euro, grazie alle sottoscrizioni organizzate da sindacati, quotidiani, associazioni, enti locali.
Non è mancata la solidarietà di molti operai italiani, che hanno deciso di devolvere il guadagno di alcune giornate di lavoro.

E sull’intera vicenda “vigilano” ora le telecamere di Rai3. Dall’otto dicembre scorso, infatti, su idea di Simona Ercolani, autrice televisiva, e del marito Fabrizio Rondolino, tre giovani registi – Gigi Roccati, Sara Ristori e Paolo Fattori – sono al lavoro per realizzare un documentario sulla tragedia dell’acciaieria di corso Regina, che verrà trasmesso in primavera da Rai3. «Contiamo di finire il lavoro ad aprile per poterlo mandare in onda il primo maggio – racconta Roccati – Per ora abbiamo oltre cento ore di girato, speriamo di farcela».

Ma il documentario non affronterà solo i fatti della notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007: «Abbiamo pensato di costruirlo su tre livelli. Innanzitutto racconteremo la storia della tragedia e le sue conseguenze. Poi daremo spazio alle famiglie delle vittime, al loro dolore e alle loro reazioni, e alle singole storie degli operai in lotta. Infine parleremo dell’inchiesta giudiziaria in corso». Per più di un mese i tre registi hanno vissuto con gli operai Thyssen: «Abbiamo trascorso con loro Natale, Capodanno, il giorno della Befana, le domeniche, intere notti. Non è stato facile, ma abbiamo cercato di essere il più discreti possibile».

Ilaria Leccardi e Gabriella Colarusso