venerdì 28 agosto 2009

E Ada filava...

Donne e lavoro era la traccia su cui dovevamo lavorare. Ada, un'operaia tessile, è la storia che abbiamo raccontato.

Ada, nel 1997 - dopo 25 anni di lavoro - viene licenziata. Ma non si arrende e cerca una nuova strada. Siamo a Biella, il maggior distretto tessile italiano, una città che ha costruito la propria identità attorno ai lanifici e alle grandi architetture industriali. Un settore in cui le protagoniste sono state donne all'avanguardia nelle lotte per l'uguaglianza sociale ma che oggi sconta il peso della crisi e della globalizzazione.

Questo è il documentario mio, di Mauro Ravarino, Silvia Mattaliano e Claudia Luise. Si chiama E Ada filava..., ha un anno e spera di non aver perso lo smalto.







«C'è lo spaesamento ma anche la voglia di non mollare. Di trovare una strada. C'è un territorio che attraversa una crisi e la vive nei suoi simboli. C'è il tessile e tutto un contesto che ruota attorno, ma c'è soprattutto la storia di una persona con le sue emozioni, i dubbi e i desideri, che meglio di ogni altra cosa raccontano una realtà sociale»

E Ada filava... (2008, 22'): un documentario di Ilaria Leccardi, Claudia Luise, Silvia Mattaliano e Mauro Ravarino. In poche parole, l'Isola Rossa.

lunedì 17 agosto 2009

Gli operai della Zanon hanno scritto la storia: dopo 9 anni di lotta sono padroni della fabbrica

Nella notte di mercoledì la legislatura di Neuquén ha approvato l'espropriazione definitiva che permette il trasferimento della Caramica Zanon alla cooperativa operaia FaSinPat (Fabrica Sin Patrones - Fabbrica Senza Padroni). Il governo provinciale si farà carico di pagare una percentuale dei debiti e il resto sarà condonato. La risoluzione è stata appoggiata da un'ampia maggioranza. I ceramisti hanno scritto così una nuova pagina di storia del movimento operaio.

Sembrava che la forza del vento che mercoledì soffiava a più di 60 chilometri all'ora a Neuquén fosse un augurio di quello che stava per avvenire: 26 deputati hanno appoggiato l'espropriazione definitiva e hanno suggellato la dichiarazione di utilità pubblica della fabbrica, con conseguente passaggio della Ceramica Zanon alla cooperativa Fasinpat.

"E' qualcosa di impressionante, siamo felici, l'espropriazione è un atto di giustizia. Non ci dimentichiamo della gente che ci ha appoggiato nei momenti più duri, né le 100.000 firme che hanno appoggiato il nostro progetto", ha detto emozionato Alejandro Lopez, segretario generale del Sindacato Ceramista di Neuquén (Soecn) e direzione politica della Zanon.

Da quando la Ceramica Zanon è nelle mani dei lavoratori, 470 famiglie vivono direttamente del lavoro che produce la fabbrica e si stima che l'attività generi 5.000 posti di lavoro indiretto. La lotta emblematica dei lavoratori e il grande appoggio della comunità locale hanno fatto sì che il potere provinciale riconoscesse come legittimo il valore sociale e produttivo che la gestione operaia ha promosso dal 2002, da quando amministra la fabbrica, senza capi, senza gerenti, senza padroni, solo loro... gli operai.

Bisogna ricordare il verdetto emesso dalla giustizia nel 2001: lock out padronale e imputazione di evasione aggravata per la direzione della fabbrica.

Il giorno tanto atteso è cominciato alle 4 del pomeriggio con un concentramento al monumento San Martin di Neuquén con le Madri di Plaza de Mayo, la vedova Fuentealba, Sandra Rodriguez, i dirigenti di Aten, Ate, Sejun, gli avvocati del Ceprodh, i rappresentanti della Federazione Mapuche, e tantissime organizzazioni sociali, politiche e di diritti umani, come militanti sociali, famiglie e simpatizzanti. In tutto circa 5.000 persone. C'erano anche i colleghi della Ceramica Stefani e Ceramica Del Sud. I lavoratori della Ceramica Neuquén hanno fatto uno sciopero per accompagnare la marcia. Da Buenos Aires sono arrivati i lavoratori dell'Indec e di altre fabbriche recuperate. Dal Brasile si sono uniti sindacalisti e l'Università di San Paolo.

Una volta riuniti, i manifestanti si sono diretti verso il palazzo governativo, dietro la bandiera di Carlos Fuentealba. E hanno percorso venti isolati con canti, tamburi ed emozioni.

Nove anni di lotta affinché venisse riconosciuta l'utilità della Ceramica Zanon. Lotta che ha creato un forte rapporto con la comunità locale, nazionale e internazionale, dal novembre 2001, quando Luis Zanon licenziò senza preavviso 380 operai ceramisti.

Mercoledì gli operai hanno montato un palco con microfoni fuori dal palazzo della legislatura, affinché i presenti potessero ascoltare passo dopo passo lo sviluppo della sessione legislativa, cominciata appena dopo le 6 del pomeriggio e finita circa a mezzanotte.

"E' il miglior riflesso della lotta organizzata che ha saputo conquisatare l'appoggio di tutta la società", ha detto Veronica Huilipan, della Conferazione Mapuche. "Un fatto storico e un passo importantissimo della lotta dei lavoratori", lo hanno definito gli studenti del gruppo No pasarán ed En Clave Roja. "Molti di noi hanno cominciato il proprio cammino politico con la lotta per l'espropriazione della Zanon e questo dimostra che tutti questi sforzi hanno smesso di essere una possibilità per divenire una realtà", hanno continuato gli studenti.

Il dibattito è proseguito senza sorprese. L'espropriazione è stata appoggiata da un'ampia maggioranza. Il martedì precedente era stato fatto un passo importante, quando la Commissione di Affari e Finanza ha approvato il documento per maggioranza. Cinquanta operai hanno presenziato alla sessione mentre le altre centinaia ascoltavano le argomentazione dei deputati da fuori, assieme agli altri manifestanti.

José Russo, presidente del gruppo del Movimento Popolare di Neuquén (MPN), principale promotore della proposta, assieme al ministro Jorge Tobares e alla deputata di Alternativa Soledad Martinez, ha sostenuto: "E' un fatto miracoloso. In queste decisioni si giocano il lavoro e la vita di molte persone, non di fabbriche, che con il proprio sforzo hanno fatto sopravvivere lo spirito del lavoro. Lo sforzo deve essere ricompensato. I ceramisti hanno lavorato 8 anni nell'insicurezza e noi dobbiamo appoggiarli per generare il futuro".

Al termine della votazione i lavoratori si sono abbracciati in un unico grido di soddisfazione. Quindi urla, sorrisi, brindisi. Fuori gli operai aspettavano i compagni, per ricodare e festeggiare nove anni di lavoro produttivo, politico e solidale, riconosciuti finalmente in forma giuridica della politica locale.

Il progetto di legge parla di una "decisione ferma dello Stato Provinciale, quella di accompagnare i lavoratori nella loro lotta, proponendo l'espropriazione della fabbrica e la cessione alla cooperativa in modo che continui la gestione operaia".

Gli operai potranno vendere anche il marchio commerciale, cosa che finora non gli era permessa. L'espropriazione si effettua con previo accordo dei creditori privilegiati, con il consenso della Banca Mondiale, della Sacmi, l'impresa italiana che fornisce i ricambi dei macchinari, e dell'Istituto Autarchico di Sviluppo Produttivo, organismo dipendente dalla provincia.

L'esecutivo provinciale dovrà solo pagare, come indennizzo, un valore superiore a 23 milione di pesos prima di cederla formalmente agli operai (un valore molto inferiore al credito reale). Il progetto di legge era stato presentato all'Esecutivo Provinciale a maggio, dopo lunghi dibattiti e modifiche affinché venisse approvato dagli operai.

L'obiettivo iniziale dei lavoratori era ottenere l'espropriazione e la statalizzazione sotto controllo operaio con un piano di opere pubbliche, ma l'iniziativa ufficiale ha dovuto lasciare da parte la statalizzazione e portare avanti l'espropriazione con un indennizzo ridotto ai creditori privilegiati del fallimento. Ciononostante, la risoluzione legislativa è un grande precedente per il resto delle fabbriche e imprese gestite da lavoratori in tutto il paese.

"Questo è per i 30mila compagni desaparecidos, per le madri di Plaza de Mayo, per il compagno Boquita, per Carlos Fuentealba, e per Kosteky e Ssntillan", ha detto Alejandro Lopez, emozionato, alla fine della sessione. Però, continua Lopez "l'espropriazione risolve la parte legale. La continuità lavorativa richiede altre decisioni politiche" rispetto ai contributi che le fabbriche "sotto padrone" ricevono dello Stato. "Hanno sussidi per la luce e il gas, ma anche per i salari, che noi non abbiamo".

libera traduzione da Anred

per maggiori informazioni www.obrerosdezanon.com.ar

mercoledì 12 agosto 2009

Giù le mani dalle officine
gli operai della Innse hanno vinto

Giù le mani dalla INNSE! Che questo grido di battaglia degli operai delle Officine di Bellinzona e della INNSE di Milano diventi la parola d’ordine di tutti gli operai e lavoratori!

È stata in prima pagina, ne parlano tutti i telegiornali, tutta l’Italia ha visto la foto con i quattro operai INNSE sul carro ponte della loro fabbrica, tuta blu, casco giallo e muso duro. “Il simbolo della crisi”, ha scritto qualcuno. Ma quale crisi? Quella economica che tutti credono che sarà passata fra un anno o due? O piuttosto la crisi di un sistema economico che ormai è fallito. Un sistema economico e sociale basato sullo sfruttamento del lavoro salariato. Un sistema che permette la produzione soltanto fino a quando aumenta il capitale.

La INNSE ha svelato la causa dell’attuale crisi con tutte le assurdità di un sistema economico destruttivo: una fabbrica con una maestranza qualificata e specializzata va chiusa per il semplice motivo che il capitale del suo padrone aumenta di più con la demolizione delle macchine che con la produzione. La legge dello Stato borghese, garantendo la proprietà privata, permette al proprietario la rottamazione delle macchine, con la conseguenza assurda che lo Stato protegge con le forze dell’ordine la distruzione della base economica dei suoi cittadini. Lo Stato dei padroni, quindi, non garantisce soltanto, come una volta, lo sfruttamento del lavoro salariato, ma persino la demolizione dei mezzi di produzione dei salariati. Ecco perché è fallito il sistema economico basato sullo sfruttamento del lavoro salariato: una volta, quando gli operai scioperavano, l’esercito proteggeva i crumiri per imporre la continuità della produzione, mentre oggi alla INNSE, un esercito di polizia impone la fine della produzione che è stata portata avanti dagli operai senza padrone e contro la sua volontà.

Ma ce n’è di più. La INNSE ha anche svelato, per chi l’avesse dimenticato, che lo Stato non protegge i suoi cittadini, ma soprattutto la proprietà privata, cioè il capitale. Questo non è niente di nuovo, la novità consiste nel fatto che la classe padronale, pur avendo perso ogni interesse alla produzione industriale, usa le Istituzioni statali per la spartizione tra di loro della ricchezza prodotta in passato. Se non fosse così, come si spiega il fatto che un patrimonio industriale come la INNSE è stato svenduto per un prezzo simbolico di 700'000 Euro ad un rottamaio speculatore come Genta? Un rottamaio che ora rivendica il suo diritto da proprietario per realizzare il lucro, smantellando e vendendo i macchinari pezzo per pezzo. Dapprima, lo Stato ha organizzato la svendita della INNSE, adesso garantisce con le forze dell’ordine il suo smantellamento, garantendo la proprietà privata e impedendo la continuazione di una produzione. Piuttosto che permettere a 50 famiglie di guadagnarsi il pane tramite questa produzione, lo Stato dei padroni li costringe a vivere delle elemonsini chiamati “ammortizzatori sociali”.

Quando una classe dominante non permette più a un numero crescente della società a nutrirsi da solo, è giunto il momento di rovesciarla. I quattro operai della INNSE sul carro ponte non sono tanto “il simbolo della crisi”, ma piuttosto il simbolo del suo superamento. Poiché, questi operai dimostrano che si può lottare, che la crisi non è un destino da sopportare come un fenomeno naturale, ma invece il risultato di un sistema economico che va superato. La INNSE è l’esempio come va affrontata la crisi: invece di subire passivamente ulteriori tagli di salario, aumenti dei ritmi e degli orari di lavoro, licenziamenti e chiusure di fabbriche, gli operai devono diventare i protagonisti del proprio destino. Gli operai della INNSE hanno portato la prova che è possibile ribellarsi anche essendo in pochi. 50 operai che sfidano la prepotenza padronale e statale trasformatasi in impotenza, quando i quattro, eludendo un assedio permanente di 500 sbirri, hanno conquistato il carro ponte della loro fabbrica.

Guardando la foto dei quattro operai INNSE, tanti altri operai che si chiederanno: Perché loro si ribellano e noi no? Perché lasciarsi portare al macello come dei buoi senza almeno aver tentato di lottare? Perché non facciamo anche noi come gli operai della INNSE? Da quando c’è l’assedio militare alla INNSE, si sono verificati almeno altri tre esempi di ribellione operaia: invece di andare in ferie, gli operai della Ercole Marelli a Sesto San Giovanni hanno occupato la fabbrica, un altro presidio di fabbrica c’è alla Manuli di Ascoli Piceno nelle Marche. «Siamo l´INNSE della Toscana» dicono gli operai della Bulleri Brevetti di Cascina che hanno bloccato la fabbrica con un presidio permanente davanti ai cancelli. Comunque finisca la lotta alla INNSE, o con la ripresa produttiva o con la chiusura definitva imposta dalla repressione statale, una cosa è certa: è valsa la pena di resistere tanti mesi, e di passare tanti giorni e tante notti in cima di una gru, perché questa lotta ha il potenziale per diventare il principio di una lotta operaia che si estende sempre di più, diventando finalmente una lotta di classe contro classe per rovesciare questo sistema corrotto e marcio fino alle ossa. Giù le mani dalle Officine! Giù le mani dalla INNSE! Che questo grido di battaglia degli operai delle Officine di Bellinzona e della INNSE diventi la parola d’ordine di tutti gli operai e lavoratori!

lunedì 10 agosto 2009

Zanon, momenti cruciali
Mercoledì si decide sull'espropriazione

E' la settimana decisiva. Quella in cui si avrà una decisione finale sulla situazione legale della Zanon. Dopo 9 anni di gestione operaia che si è affermata a livello internazionale per il suo impegno solidale e il suo legame con la comunità, gli operai potranno cominciare una nuova tappa se il progetto di legge di espropriazione definitiva sarà approvato dalla legislatura provinciale. L'impegno politico c'è, ora bisogna portarlo a termine.

Domani, martedì 11 agosto, la Commissione dei Bilanci dovrà emettere un documento e mercoledì in serata i deputati dibatteranno voteranno in merito all'espropriazione della fabbrica, affinché continui a lavorare sotto controllo degli operai e al servizio della comunità.

Da più di un mese i ceramisti stanno lottando per ottenere i pareri favorevoli delle commissioni che devono approvare il progetto di legge nella legislatura: la Commissione A degli Affari Costituzionali e la Commissione B dei Bilanci.

In merito alla bozza del progetto, hanno diffuso un comunicato stampa: "Non è stato un lavoro facile. Anche se il governatore Sapag, dall'inizio del suo incarico, ha detto che avrebbe risolto il problema degli operai della Zanon, nel corso dell'ultimo anno ha pensato diverse varianti, come l'acquisto della fabbrica e l'acquisto dei creditori privilegiati. A entrambi ci siamo opposti perché avrebbe voluto dire spendere milioni di soldi del popolo a favore della famiglia Zanon e dei suoi creditori, attori principali dello svuotamento della fabbrica. Siamo riusciti a stabilire che l'espropriazione sia la strada per risolvere il problema legale della Zanon sotto controllo operaio. Ma hanno rifiutato di discutere il nostro progetto di legge di espropriazione e statalizzazione senza pagamento e sotto controllo operaio".

Dopo passi avanti e indietro, il potere esecutivo insieme a diversi gruppi di deputati, l'anno passato ha elaborato un progetto di espropriazione che contempla l'accordo con i creditori privilegiati del fallimento, tra cui Sacmi, il Banco Mondiale e l'Istituto Autarchico di Sviluppo Produttivo (Iadep), organismo dipendente della provincia di Neuquén.

Attualmente, la Commissione degli Affari Costituzionale ha dato il suo appoggio e il 4 agosto la Commissione dei Bilanci ha discusso il progetto di legge alla presenza di una delegazione di operai. Da quanto hanno riportato questi ultimi, "si sono presentati anche membri delle camere imprenditoriali e il segretario generale del sindacato Cgt, guidati da Edgardo Phielipp, ex funzionario dell'Università del Comahue durante la dittatura militare, attuale vicepresidente di Acipan, e da Sergio Rodriguez, segretario generale della Cgt regionale, che nel 2002, quando dirigeva il Sindacato del Commercio di Neuquén, ha organizzato delle ronde per attaccare la gestione operaia che stava iniziando. Questi settori erano presenti con un solo obiettivo: tentare di bloccare la discussione del progetto di legge e togliere credito alla nostra lotta che dura da quasi 9 anni".

Il Comitato di Consenso è formato dal governo provinciale, dalle camere di imprenditori e dalla Cgt, "la cui unica funzione è zittire i reclami dei lavoratori parlando di pace sociale, ma sollecitando metodi repressivi quando diventa necessario. Il suo obiettivo finale è difendere gli interessi dei padroni e far sì che i lavoratori paghino per una crisi economica internazionale che non hanno generato", hanno aggiunto gli operai. "In questo contesto stiamo portando avanti una delle battaglie più dure, per ottenere le approvazioni delle commissioni A e B, condizioni fondamentali affinché il progetto di legge di espropriazione della fabbrica venga discusso nella sessione speciale del 12 agosto".

I lavoratori della Zanon, assieme al Sindacato Ceramista di Neuquén, hanno convocato i lavoratori di tutto il paese, i sindacati, le organizzazioni di diritti umani, le organizzazioni studentesche e politiche, e il popolo intero, a manifestare mercoledì 12 agosto fino alla Legislatura Provinciale. "Per fare un passo fondamentale verso l'espropriazione della Zanon, affinché la fabbrica rimanga definitivamente nelle mani dei lavoratori e del popolo. Sarà una giornata storica. Una giornata di lotta e mobilitazione, gli strumenti con cui riusciamo a conquistare tutti i nostri diritti".

per maggiori informazioni www.obrerosdezanon.com.ar

da Anred