giovedì 25 febbraio 2010

L'Aquila 8 mesi dopo

Girare per le strade de L’Aquila è come provare a districarsi in un labirinto di sensi unici. Le vie dove un tempo scorreva il traffico regolare oggi si stringono per lasciare spazio a cantieri e impalcature. Sui marciapiedi ancora tanti calcinacci e mattoni. Basta voltarsi un attimo e le ferite delle case sono ancora tutte lì, con la vita della gente che le abitava esposta al cielo. Il terremoto ha messo fine a ogni forma di intimità. Non sono crollati solo i muri, ma in una città dove gli stessi abitanti raccontano di un tessuto sociale già fragile prima del sisma, a disperdersi sono stati i legami, le forme di riconoscimento, la capacità di parlare. “Anche i giovani che si ritrovavano alle “colonne” del centro storico ora non sanno dove andare - spiega Annamaria, giovane insegnante di educazione fisica – se ne vanno tutti al centro commerciale, verso Coppito, appena fuori città. Ma non è la stessa cosa”.

Quello che ti colpisce a L’Aquila non sono solo le rovine, già cancellate dai tg berlusconiani, ma il senso di smarrimento negli occhi della gente. Persino nel modo di guidare. Lungo le strade ci sono incroci ma non si svolta, il rischio è di finire in vicoli resi ciechi dai calcinacci. Si va sempre dritto. Come la vita, che va avanti ma non si capisce dove. Da via XX Settembre che taglia la città si passa a fianco della Casa dello Studente o a quel che ne rimane, si prende una strada in salita e si arriva a Collemaggio, il luogo della storica basilica ma anche dell’ex manicomio. Proprio qui, dal 31 ottobre è arrivato un gruppo di ragazzi, che prima stava al parco Unicef di via Strinella, nelle tende. Sono quelli del 3e32. Si chiamano come l’ora in cui la notte del 6 aprile L’Aquila tremò più forte e sono un coordinamento di comitati che fin dal primo giorno dopo il sisma hanno cercato di tenere viva la coscienza della cittadinanza. Con l’arrivo dell’autunno e la minaccia del freddo la sistemazione di via Strinella non era più abbastanza. E così hanno deciso di occupare uno stabile nel comprensorio dell’ex ospedale psichiatrico. Lo hanno ristrutturato e adibito a sala presentazioni. E poi lo hanno completato, costruendogli affianco una nuova casetta in legno, dove hanno allestito un internet point, perché all’Aquila ora è difficile pure trovare un luogo dove connettersi. Nel complesso che ha preso il nome di CaseMatte si mangia anche, con pastasciutte preparate in enormi padelle, tanto da sfamare senza problemi una ventina di persone. E alla sera, tolto il lungo tavolo da pranzo, la stanza si trasforma in luogo per incontri, presentazioni, dibattiti. Il giorno della nostra visita, a fine novembre, l’ospite è il giornalista Manuele Bonaccorsi, autore di “Potere assoluto. La Protezione civile al tempo di Bertolaso” (Edizioni Alegre, 2009). Proprio lui, Guido Bertolaso, uno dei protagonisti della ricostruzione post terremoto, ma che qui alle CaseMatte è ben poco amato. Quella sera nella piccola casetta arriva anche Sabina Guzzanti con la sua troupe, una presenza costante ormai, che da mesi sta girando un documentario su L’Aquila terremotata.

Poco più in alto, tra i padiglioni di Collemaggio, c’è il Centro di salute mentale, anche questo un luogo di “resistenza”, dove si prova a far ripartire progetti di cittadinanza. La mente organizzativa è Alessandro Sirolli, psicologo e direttore del Centro, negli anni ’70 allievo di Basaglia, che assieme ai suoi “matti” ha dato il via a una serie di iniziative: presentazioni di libri, teatro e l’idea di un cinebus: “Un pullman da 50 posti con telo e proiettore incorporati – spiega –, che giri tra le periferiche new town del piano C.A.S.E. del governo per offrire alla gente ormai isolata dalla città momenti di aggregazione e dibattito. Tanti anni fa con la chiusura dei manicomi siamo riusciti a portare i “matti” tra la gente. Oggi ci riproviamo, partendo dalla nostra esperienza, per andare a ritrovare un contatto con i cittadini. Facendoli venire qui, nel nostro Centro, ma anche andando da loro”.

Quello dell’isolamento e della forzata lontananza dalla città è uno dei temi che più tocca la popolazione. E quando nelle assemblee pubbliche gli abitanti prendono la parola, l’inquietudine non può più essere celata. C’è chi se n’è andato via da L’Aquila, verso il mare in un albergo, “ma non si sente fortunato” precisa una ragazza. Chi sta nelle case prefabbricate o si trova ancora in roulotte. Oppure in tenda, al fondo delle liste d’attesa. E poi c’è chi di notte elude i controlli della Protezione civile e rientra nella propria abitazione, in piena zona rossa. “La prima cosa che fa è tirare giù le tapparelle. Più in fretta che può, perché nessuno lo veda” racconta una psicologa. I rapporti con i volontari di Bertolaso non sono mai stati idilliaci: “Nelle tendopoli ci trattavano come appestati – sottolinea una donna, durante il dibattito alle CaseMatte -, come ‘terroni’, pensate che un responsabile della Protezione civile andava in giro con la scritta ‘Io sono Hitler’. I suoi lo giustificavano, dicevano che era una burla”. In queste settimane, a L’Aquila - col freddo che si attacca alla pelle - si vive in un insopportabile limbo d’attesa. Sul che sarà. “Se avessero dato le autorizzazioni che ci negano – spiega con foga un signore di mezz’età – a quest’ora mi sarei ristrutturato la casa e forse ci abiterei già”. Invece, il centro storico è come il giorno dopo il sisma. In bilico.

di Ilaria Leccardi e Mauro Ravarino
da Cenerentola

giovedì 18 febbraio 2010

"Milleproroghe" all'amianto

Una questione di giustizia ed eguaglianza di fronte alla legge. Una questione capace di creare allarmismi, ma anche di privare realmente i cittadini di un diritto che era stato loro riconosciuto dopo una lunga lotta. L’approvazione in Senato del cosiddetto decreto legge “Milleproroghe”, avvenuta giovedì scorso con l’ennesimo voto di fiducia dell’era Berlusconi, ha acceso gli animi tra coloro che da anni si battono a favore delle vittime dell’amianto. All’interno del documento è infatti presente un emendamento, a firma del senatore Antonio Battaglia del Pdl, che cancella gli effetti di un’importante sentenza emessa lo scorso anno dal Tar del Lazio. Una sentenza che annullava quella parte del Decreto Ministeriale del marzo 2008 che limitava i benefici contributivi per gli esposti all’amianto ai lavoratori di 15 siti oggetto di atto di indirizzo del Ministro del Lavoro, tra cui la Michelin a Torino, la Lucchini a Piombino e l’Ilva a Taranto, a fronte di oltre 500 siti a rischio in tutta Italia. L’atto di indirizzo è una certificazione del ministero attraverso cui ai lavoratori viene riconosciuto il beneficio amianto senza la necessità di dimostrare l’esposizione qualificata. L’emendamento Battaglia ha fatto gridare molti allo scandalo e su di esso sono intervenuti sia il presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso che la senatrice del Pd Magda Negri, la quale si è rivolta al candidato della destra alla Regione Piemonte, Roberto Cota, chiedendo: "Cosa intende fare l’onorevole Cota per i tanti piemontesi che si trovano in questa situazione a Torino, a Casale e in altre parti del Piemonte e per tutelare i cittadini i cui diritti sono limitati da questa iniziativa del Governo?". L’avvocato romano Ezio Bonanni, da anni segue le vertenze legate all’amianto ed è stato uno dei paladini del ricorso al Tar del Lazio: "Non bisogna creare falsi allarmi. Non sono a rischio né i processi già in corso come l’Eternit ne altri di dimensioni più ridotte, né i risarcimenti già elargiti. Ma la questione rimane grave perché riguarda l’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e il tentativo di far passare come valido un principio già riconosciuto illegittimo dal Tar". Il decreto “Milleproroghe” deve essere approvato ora in via definitiva dalla Camera e si spera che l’emendamento venga cancellato ma le associazioni di esposti all’amianto e l’Osservatorio Nazionale sull’Amianto sono pronti ad azioni forti. "Chiederemo che il Capo dello Stato affinché non firmi quel decreto – continua Bonanni – integreremo il ricorso alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo e alla Commissione Europea, e non escludiamo la possibilità di citare per danni il governo e il presidente del consiglio Silvio Berlusconi davanti al Tribunale civile di Roma".

Ilaria Leccardi da Terra Comune

C'erano i treni alla Magliola

A confronto con i numeri enormi di vittime e di richieste di parti civili del maxiprocesso Eternit (6.392 presentati nella quarta udienza svoltasi lunedì al Tribunale di Torino), tutti gli altri procedimenti per morti legate all’amianto celebrati in Italia sembrano piccole gocce nel mare. Eppure sono gocce importanti, perché la sostanza killer, lavorata nei quattro stabilimenti della multinazionale sul territorio italiano fino al 1986, è stata in realtà utilizzata in migliaia di altri luoghi di lavoro, almeno fino al 1992, quando fu varata la legge che ne vietava l’uso. L’amianto era usato come isolante, come materiale ignifugo, oppure, ironia della sorte, all’interno delle protezioni stesse, tute o guanti, utilizzate dagli operai per svolgere il proprio mestiere. Così era anche nell’azienda Magliola di Santhià, ditta impegnata nella riparazione e nella manutenzione di carrozze ferroviarie, per molti anni al lavoro per conto delle FS. Da alcuni mesi i suoi dirigenti, i fratelli Maurizio e Paolo Magliola, stanno affrontando un processo davanti al Tribunale di Vercelli nel quale sono accusati di omicidio colposo per la morte di due operai: Ettore Mosconi, assunto presso l’azienda dal 1981 al 2000, e Giovanni Rustichello, che tra le carrozze ferroviarie ha passato 33 anni, dal 1964 al 1997. Entrambi sono morti per tumori polmonari asbestocorrelati. A giovedì 11 febbraio risale l’ultima udienza, che ha visto protagonisti ex-operai in qualità di testimoni, pronti a raccontare le condizioni in cui per anni hanno svolto il proprio lavoro. La colpa dei fratelli Magliola consisterebbe nella mancata osservazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sulla difesa dalle sostanze nocive. Secondo quanto sostiene il pm Antonella Barbera, i dirigenti dell’azienda, che sta affrontando una dura crisi dagli ultimi mesi del 2009, non avrebbero fatto abbastanza per allertare i lavoratori, né per proteggerli durante le operazioni di coibentazione e scoibentazione delle carrozze, pur essendo stati informati sulla pericolosità dell’amianto dalle Ferrovie dello Stato fin dal 1980. Ettore Mosconi e Giovanni Rustichello sono soltanto due delle migliaia di vittime morte nel silenzio. Silenzio fatto di noncuranza e disattenzioni, volute o meno, da parte dei datori di lavoro, che in Italia si sono ripetute in centinaia di circostanze. A volte i morti sono state decine, altre migliaia. Oppure solo due. Ma tutte cercano giustizia.

Ilaria Leccardi da Terra Comune

giovedì 11 febbraio 2010

A Casale si muore ancora
ma i boss fanno ostruzione

"Noi stiamo ancora morendo mentre l’amianto si sta diffondendo". Recitava così lo striscione portato in tribunale da un gruppo di giovani casalesi, giunti a Torino per la terza udienza del maxi processo “Eternit”. Parole che richiamano l’attenzione su una strage ancora in atto che mette paura alla gente di Casale Monferrato, la città più colpita dai veleni della multinazionale dell’amianto. E mentre i ragazzi, assieme a una cinquantina di persone, si sono posizionati in aula 2 per assistere allo svolgersi delle operazioni processuali attraverso due maxischermi, in aula 1 il processo andava avanti. Udienza tecnica, ancora una volta, dove protagonisti sono stati i difensori de gli imputati, il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean Louis De Cartier de Marchienne, e quelli delle società a loro collegate, intervenuti per contestare le costituzioni di parte civile.

"Ci troviamo di fronte a 6.000 persone e 50 enti che chiedono il risarcimento. Troppi", ha spiegato Astolfo Di Amato, uno degli avvocati di Schmidheiny, che ha sollevato una questione di legittimità costituzionale delle norme del codice di procedura penale che permettono la costituzione di parte civile ma che, secondo la difesa, ostacolerebbero la velocità e la semplicità del processo. Nulla di più falso, secondo i legali di parte civile: "Non sempre la ragionevolezza della durata del processo corrisponde alla massima speditezza – ha ribattuto l’avvocato Davide Petrini – la durata è ragionevole nel momento in cui bilancia la speditezza e le esigenze delle parti". Una questione già emersa e respinta in udienza preliminare, ma che se dovesse essere accolta potrebbe comportare un’importante modifica della procedura penale.

Più nel merito del processo, ma non di minor peso, la questione sollevata dal difensore del barone De Cartier, Cesare Zaccone, sull’ammissione o meno come parte civile di Inps e Inail, sostenendo l’impossibilità di quest’ultima di esercitare in questa sede il “diritto di regresso”, ossia chiedere agli imputati di risarcire ciò che l’Inail ha dovuto sborsare (una cifra superiore a € 246 milioni per 1.648 persone). Tesi respinta dal pm Raffaele Guariniello che ha richiamato in aula l’articolo 61 del decreto legislativo 81 del 2008, più conosciuto come Testo Unico sulla Sicurezza, secondo cui in un caso come quello della “Eternit” il pm deve dare notizia all’Inail "ai fini dell’eventuale costituzione di parte civile e dell’azione di regresso". Quello dell’Inail, spiega Guariniello, è un diritto che già esisteva prima di questo decreto, ma che attraverso esso viene agevolato: uno strumento in più di prevenzione e per far sapere alle aziende che, in caso di mancata osservanza delle norme, il rischio è anche quello di dover risarcire l’Inail.

Tante e articolate le altre richieste di non ammissione a parte civile: se i difensori di De Cartier chiedono di escludere i lavoratori assunti in “Eternit” dopo l’addio del barone belga all’azienda, quelli di Schmidheiny hanno chiesto invece di escludere chi ha smesso di lavorare negli stabilimenti della multinazionale dell’amianto prima che lo svizzero ne diventasse proprietario, nel 1972. E poi i sindacati e le loro emanazioni locali, sedici, troppi secondo l’accusa, e tante associazioni. Tra queste anche “Medicina Democratica”, movimento nato alla fine degli anni Sessanta e da sempre attivo in tema di malattie professionali. "Oltre che nel processo “Eternit” ci siamo costituiti parte civile in altri procedimenti legati all’amianto – spiegano i rappresentanti, presenza costante alle udienze torinesi – come quello contro la “Montefibre”, celebrato a Verbania, e quello contro la Marina Militare, in corso a Padova. In Piemonte parteciperemo anche al processo contro la “Solvay Solexis” per il cromo esavalente ritrovato a Spinetta Marengo, alle porte di Alessandria". La richiesta di esclusione nei confronti dell’associazione si basa sul fatto che “Medicina Democratica” non era ancora attiva nel momento in cui il reato contestato veniva commesso, almeno da parte di De Cartier, ma, rispondono i rappresentanti, dipende da come viene inteso il reato: l’azione degli imputati (l’omissione del controllo sulle norme) non si è conclusa in un tempo passato definito, ma rappresenterebbe al contrario un reato permanente. O almeno, questa è la tesi sostenuta anche dai pm. E forse era proprio ciò che volevano esprimere quei ragazzi di Casale con le parole scritte sullo striscione che hanno portato fino a Torino. Perché la gente a Casale Monferrato continua a morire.

E mentre il presidente della Corte, il giudice Giuseppe Casalbore, rimanda la prossima udienza a lunedì 15 febbraio, con le risposte dei difensori di parte civile, arriva la notizia di un nuovo importante appuntamento: il 16 marzo a Torino si terrà una conferenza sulle vittime mondiali dell’amianto, con la partecipazione di testimoni provenienti da tantissimi Paesi, dal Nicaragua, al Giappone, passando per il Brasile.

Ilaria Leccardi
da Terra Comune